venerdì 8 luglio 2011

ultimo


L’ambulanza sfila piano e silenziosa sulla provinciale grigia.
Si ferma, mi aspetta a lato della strada, ho preso un rosso.
Che gentili, non mi sembra possibile.
E’ stato organizzato il trasferimento di mia mamma in una struttura dal nome mitologico, attrezzata per accogliere pazienti…così, il cui grado di coscienza è, si spera, pari a zero.
Tecnicamente si chiamano Pazienti in Stato di Coma Vegetativo.
Il dottore che ha la responsabilità del nuovo insediamento si dà un gran daffare.
Arriva un esercito di infermieri da tutte le parti del mondo: un signore messicano, una signora dell’est, una signora colombiana (Sudamerica batte Est-Europa 4 a 1, alla fine, escludendo il Far-East).
Tutti bianchissimi, tutti ordinatissimi, tutti organizzatissimi e capacissimi.
Mia sorella sparisce con il dottore, mia mamma nel suo letto nuovo, io nella parete del corridoio.

Vado all’ingresso, dove delle enormi vetrate sul giardino danno l’impressione di essere in quei patii in stile liberty della Belle Epoque.
Mi prendo un tè e mi guardo intorno.
 
E significa progresso, in questo occidente da bere, riuscire ad aumentare la vita media di un individuo.
Bene, assodato. 
Però una cosa è contare quanto tempo passa da quando dicono ‘E’ nato’ a quando dicono ‘E’ morto’, un altro è dare uno sguardo alla qualità di questa vita che viene miracolosamente allungata, ma non sempre è degna di essere vissuta.
Suvvia, cerchiamo di essere pragmatici: non importa COME, importa vivere.
Va bene.

Vengo richiamata per rievocare la vita intera della mater nel giro di un questionario, che mi sorprende anche un po’.
Mia sorella e io ricordiamo, sorridiamo, piangiamo.
‘E’ normale’. Grazie, Signora Psicologa, sì, lo pensiamo anche noi, ci sentiamo molto normalmente tristi in questa occasione.
Le farete ascoltare le canzoni anni ’50. Va benissimo, piacciono anche a noi.

Io adesso devo andare, però.
Lo sento. Sale. Piano. Mii succede sempre.
Anche al pranzo di Natale.
Anche al mio matrimonio.
Io, ad un certo punto, devo andare.
 
Guido verso il lavoro (ma che cavolo ci vado a fare?!) e ascolto gli Stadio.
E ripenso alle due signore anziane che ho visto poco prima, sedute sul divano dell’ingresso abbastanza vicine da poter essere considerate intime e piacevolmente allietate da quella intimità, così dignitosamente presenti nelle loro camicette a fiori, nelle loro collane di perle, con i capelli bianchi di lacca e i rossetti accesi.
Parlavano fitto fitto, ridendo discrete.
Così, mi piace immaginare che possa andare, invece.
Petu

2 commenti:

  1. L'argomento è drammatico. Io, sul fatto di vivere, la penso in un certo modo. Comunque, hai scritto magistralmente. Auguri per tutto...Per quanto puo' servire.....

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  2. mi piacerebbe sapere quel certo modo in cui la pensi...
    p.

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