Nel mio procedere allegro nello studio m'imbatto nella teoria dell'attribuzione di Heider.
Secondo questa illuminante teoria, le persone compiono continuamente e in maniera automatica delle attribuzioni.
Ossia traggono conclusioni riguardo alle motivazioni che spingono gli altri a fare quello che fanno.
E non ci azzeccano quasi mai.
Motivo per cui Heider delineò subito dopo aver partorito la teoria, l'errore fondamentale di attribuzione (si legga l'errore sistematico di valutazione).
Quindi, tutti noi per cercare di rendere meno caotico il mondo, per cercare di prevedere i comportamenti altrui e possibilmente controllarli per una fottuta atavica paura dell'ignoto (anche sociale), cerchiamo di attribuire motivazioni alle azioni degli altri, sbagliando di continuo.
Perchè sopravvalutiamo i motivi personali dell'individuo e sottovalutiamo il contesto situazionale che lo influenza.
Per un costo cognitivo che una novità potrebbe accollarci e che noi poveri pigri e pavidi spettatori non intendiamo pagare manco morti, preferiamo catalogare, categorizzare, sminuire, rivestire di approssimazioni, intravedere un'altra persona, piuttosto che prestare l'attenzione necessaria per affidarle almeno il beneficio del dubbio.
Ora, non bastava Pirandello con l'incomunicabilità interpersonale, quel depresso di Sartre con l'inferno sono gli altri, e Umberto Tozzi con gli altri siamo noi (che se siamo così messi male, c'è poco da esser contenti).
Ci si mette anche Heider.
Sarà.
Torno a coltivare il mio orticello di empatia che mi da più soddisfazioni.
A bientot, ma chère, baisers.
petu lante
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